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domenica 22 aprile 2012

La Dea dell'Amore

Stanco dei duri affanni della vita,
che rendono grave l’esistenza,
col desio di una eterna gioia

volsi a scalare il monte Olimpo,
ove non alita l’arido spirito.

Ivi trovai il canuto custode,
dallo sguardo sereno, che,

con far gentile, mi esorta:
“Questa dimora è degli dei immortali!
tu che sei dall’atro spirito condannato
ad esistenza effimera, varcar tale

soglia non ti è consentito!”
Un cenno e si mossero armate di ciclopi,
terrificanti, deformati da orrendi ghigni,
posti a guardia dell’atrio,
oltre
 il quale percepivo lontani baccani,
vetri che urtavano per vanità divina.
violando la notte di risa e rumori
I mostri persuasero a pormi lungi da lì,

quindi, a tornare triste e sconsolato,
alle dure fatiche dell'aratro.

Rivolsi l’ultimo sguardo a quel palazzo
decorato d’inaudita bellezza,
illuminato dalla sempre eterna luna,
quando l’attenzione cadde su una luce,
una fenditura, in disparte, lantana dai fasti,
che rivelava una sagoma femminile,
confusa, curvata da chissà qual travaglio,
che sporgeasi col capo reclinato.

Provai immediata compassione,
per cui, senza esitare,
mi inerpicai su trecce d'edera secolari
fino al cospetto di ella.
Quando la vidi, il cuor mio palpitò,

sebbene la tristezza l’affliggesse,
il cupo velo non potea celare tanta bellezza.
Rivoli di lacrime le solcavano il viso,
mentre reggevansi su mani delicate,
fissavando angosciata il firmamento,
ansimava con profondi singulti.


Osando:
 “Dea gentile! Perdoni il mio ardire
nel violar la vostra intima sofferenza,

ma il cuore mio, incline a generosa azione,
indifferente non sta dinnanzi al vostro dolore!
Quale grave sciagura poté cagionare
cotanta tristezza e così tanto penare?

Qual mestiere io possa intraprendere per
tentare di sconfiggere il malvagio demone?

che dimora nella vostra anima, ingiustamente?

Lei:
 “Lungi dal mio sconforto mortale giovinetto!
Le mie speranze si dileguano come polvere

al vento, ed io siedo qui derelitta, rassegnata
nella solitudine del mio dolore, inconsolata!”

Lui: “Madonna di rara beltà e dal cor gentile.
Il tuo dolore, ora che ti ho conosciuta, è anche mio!
Mai più potrò tornare al duro aratro,
con in cor l’immagine vostra, inconsolata.
Or che il mio guardo ha contemplata tanta
bellezza, quanto vana mi pare la mi esistenza!”


Lei: Fuggi da questo covo di dannati,
o candido e buon mortale! Quivi l’amore
non vi dimora, ma vanità e prepotenza sono le virtù
cardinali. L’odio anima i sentimenti dei cinici inquilini,

che muovono le umane vicende, con arido spirito,
soffocando ogni speranza in eterni conflitti.
Sono reclusa in queste mura, a patir silente,

il supplizio senza tregua dei condannati.

Lui: Madonna dall’anima sensibile, perché
non disertate da questo abisso? Quale penitenza
vi costringe a sopportare cotanta ingiustizia?
Seguitemi or dunque, io già sento di amarvi.
Col tempo il cuore mio scaccerà la
malinconia. Il viso vostro, già tanto segnato
dal dolore, ritorni infine a ritrovare la
perduta gioia e le dolci speme.


Lei: la vostra volontà non piega la mia natura,
Sono immortale e non mi è permesso
anelare l’effimera esistenza, condannata dagli umani.
La mia pena è tra queste sponde, ad essere
testimone del male, a versare lacrime di
compassione, per chi è colpito da ira funesta.
Il mio pianto è il viatico al paradiso, la guida
verso la luce per chi è perduto. Quindi declinare
non posso al mio dovere! Orsù allontanati
se cara ti è la speranza oltre la vita .


Lui: O Dea della Salvezza! Stella cometa
dell’errante pastore! Tu mi condanni
a perenne sofferenza! Poiché il cuore
mio ora ti appartiene, o mesta luna!
La tristezza pervade già l’anima mia,
come potrei tornare agli affanni della vita,
quando così tanta grazia ho contemplato?


Lei: Dici bene dolce amato, sono la grazia,
per chi è preso dall’arido spirito,
e ha fede di vivere oltre!

Sono il senso dell’esistenza.
Sono l’amore! Nulla è chi vive senza. 

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